Biografie

La vita di Firdusi di Italo Pizzi

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Statue of Ferdowsi in Rome - Harlock81

 

Non viviamo male la nostra esistenza in questo mondo,

impieghiamo la mano della bontà per i nostri sforzi.

Nè il bene né il male è eterno,

allora è meglio che resti la bontà come ricordo.

Quel tesoro, i denari e il castello

non ti serviranno a nulla.

Il grande Fereidun non era un angelo,

né era fatto di profumi e ambra,

raggiunge la sua fama di uomo generoso

per il dare e offrire

 

 

Nel 940 d.C., in un piccolo villaggio presso Tùs nel Khorassan, era nato Abù'l-Kàsim Mansùr,universalmente noto con il nome di Firdusi.

Si dice che egli fosse figlio di un giardiniere e che da ciò gli venisse il nome di Firdusi che alluderebbe alla sua condizione di nascita ma secondo altri, il nome di Firdusi sembra sia stato imposto da Mahmùd.

Comunque sia, egli ricevette da suo padre, Fakhr-ed-dìn Ahmed, una perfetta educazione. Fu istruito nella lingua araba e in quella Pahlavica, la lingua del Medio Evo Persiano, in cui erano scritte le raccolte delle antiche leggende epiche. Nel 960, uno dei primi poeti che si erano cimentati nella trasposizioni in versi delle antiche leggende,Dekiki, morì,e Firdusi volle cimentarsi nell'impresa di completare l'opera di Dekiki,che gli era stata commissionata dal principe Mahmùd di Ghasna. Egli stesso, nella introduzione al poema, ci dice che incontrò molte difficoltà a reperire una copia del libro già composto da Dànishver,il primo in assoluto che iniziò a scrivere il poema epico, senza portare l'opera a termine come successe dopo con Dekiki,e parla dei tumulti e degli scompigli del suo tempo e della scarsa generosità dei principi verso gli eletti ingegni.

Pur tuttavia, incoraggiato dall'amico che si era assunto l'onere di trovare il libro di Danishver, Firdusi incominciò a verseggiare le antiche leggende,e l'entusiasmo che suscitò quella di Dahàk e di Frédùn da lui composta, gli diede la possibilità di conoscere Abu Mansùr, prefetto del Khorassan,che l'esortò vivamente a continuare l'opera incominciata. Nell'introduzione del poema si trovano pure le lodi di questo personaggio che per il primo indovinò l'ingegno del poeta. Intanto Mahmùd di Ghasna, era alla ricerca di un poeta di corte in grado di accrescere la sua fame anche nel campo dell'arte e specialmente della poesia; tutti quelli che conoscevano il merito di Firdusi, lo sollecitarono a recarsi a Ghasna e a presentarsi alla corte. Firdusi parti da Tùs, e si dice che arrivato nella città dalle dodicimila moschee,nelle vicinanze di un albergo dove aveva trovato alloggio, passeggiando in un giardino, incontrasse tre poeti di corte. I quali, vedendo che Firdusi si avvicinava, per prendersi gioco del nuovo arrivato, lo allontanarono dicendo che nella loro cerchia, si accoglievano solo poeti. Anche il vostro servitore è un poeta, disse ingenuamente Firdusi. Allora i tre proposero di improvvisare un verso rispettando la rima e la metrica dei versi improvvisati uno per ciascuno dagli altri tre poeti, i cui nomi erano Ansari, Farrukhin, Usgiudi, improvvisarono tre versi, uno per ciascuno, con una rima (che era in shen) difficilissima da ritrovare pensando che dopo tre rime in shen il poeta sconosciuto non ne avrebbe trovata un'altra, e avrebbero perciò goduto della sua confusione. Ma Firdusi, senza esitare, improvvisò un verso che nel senso si accordava con i tre antecedenti, e, ricordando la battaglia di Ghèv, eroe persiano, nei campi di Peshen, poté con questo nome trovare la rima. Questi furoni i versi furono nel seguente ordine:

 

Ansari: Come la guancia tua, luna non splende;

Farrukhi: Rosa non c'è in giardin pari a tua guancia;

Usgiudi: Passa gli usberghi ogni tuo sguardo e fende.

Firdusi: Come in giostra a Peshèn di Ghev la lancia.

 

Courtpoets - Aga Khan Museum

 

Inutile parlare dello stupore degli altri poeti che furono oltretutto umiliati da Firdusi il quale chiese loro di parlare di quella leggendaria battaglia. Vista la loro confusione,si mise a narrare la storia della battaglia di Peshen umiliando ulteriormente i presuntuosi poeti.

Ma Firdusi, prima di poter essere ammesso alla presenza del principe, dovette superare molti ostacoli, perché i poeti della corte, consapevoli ormai del suo valore, volevano ad ogni costo impedire che il principe ne fosse a conoscenza.

Ma poi, secondo alcuni, un amico di Firdusi, di nome Màhek, presentò al Sultano la leggenda di Rostem e d'Iskandar che Firdusi già aveva composta. Altri dicono che fu lo stesso Ansari che introdusse Firdusi da Mahmùd e volle far giustizia al merito di lui, declinando anche l'incarico già avuto dal principe, come vincitore del concorso. In ogni modo, Mahmùd restò stupito alla lettura dei versi del nuovo poeta, e volle conoscerlo di persona e inserirlo fra i poeti di corte.

Si racconta che un giorno,durante la lettura dei versi di Firdusi, Mahamud, preso dall'entusiasmo esclamasse:

-Ma tu sei veramente un Firdusi!

Alludendo così al significato di questo nome che in Persiano significa il paradisiaco. Altri dicono che il nome di Firdusi fu trovato dal Sultano stesso e imposto al poeta per designare l'eccellenza della sua arte. Avvenne poi che il principe vinto dall'entusiasmo, fece consegnare a Firdusi tutti quanti i libri dov'erano raccolte le antiche leggende, con l'ordine di trascriverle tutte in versi; Firdusi avrebbe ricevuta una moneta d'oro per ogni distico composto. Al poeta fu assegnata una casetta in un giardino adorno di figure di eroi,di leoni, di tigri e di elefanti, perché ne eccitassero la fantasia; ed egli si raccolse in quella solitudine ad attendere al gran lavoro, in compagnia di un giovane musicista che di tanto in tanto suonava magistralmente il liuto, fino a toccare il cuore del poeta.

Di tanto in tanto Firdusi leggeva i suoi canti a Mahmùd,e i manoscritti del suo poema ci mostrano le miniature che rappresentano Mahmùd seduto sul trono ad ascoltare,attorniato dai suoi cortigiani, e Firdusi siede in basso con le sue carte sopra un leggio, mentre in sottofondo si vedono i suonatori di liuto e un gruppo di danzatrici che accompagnano con la danza la lettura del poeta. Nel 1011 d.C. Firdusi compiva appunto il suo Shàh-nàmeh o Libro dei Re in sessantamila distici,

con le seguenti parole:

 

Sire, composi un opera che sarà

il mio monumento nel mondo.

Ogni superba

Mole cadendo va del sol pel raggio

per la piova; ma col verso mio

Tal monumento io sì levai, che danno

Da pioggie non avrà, non da procelle.

Passeranno le età su questo libro,

E il leggerà chiunque abbia nel core

Di senno un germe.

 

Ma intanto che Firdusi componeva il suo poema, l'atteggiamento era mutato. Lo stesso Mahmùd cheprima era stato preso da così grande entusiasmo per Firdusi, ora si mostrava indifferente anche se ascoltava sempre con piacere le sue letture. Molti lo osteggiavano,altri che erano suoi ammiratori lo sostenevano anche economicamente; tra i suoi detrattori,c'erano soprattutto i poeti di corte che si preoccupavano di diffondere sul suo conto velenose calunnie, dicendo ch'egli era settario per aver celebrato con entusiasmo gli eroi dell'antica religione, e gli istigavano contro il primo ministro del Sultano, Hassan Maymendi colui che già nutriva mal celato rancore controdi lui, perché Firdusi non ne aveva cantato le come con gli altri, nel suo poema. Eppure, quando Firdusi gli presentò l'interovolume del Libro dei Re, il sultano Mahmùd, piacevolmente colpito,preso dall'entusiasmo ordinò che al poeta fosse donato un elefante carico d'oro. Ma il ministro Hassan Maymendi, prese sessantamila monete d'argento, quanti erano i distici del poema, le mandò a Firdusi che si trovava in quel momento ai bagni. Firdusi, ne fu deluso profondamente; non aveva sopportato tutte quelle fatiche per essere ricompensato con argento. Spartì i denari del principe, dandone un terzo a chi glieli aveva recati, un terzo al gestore del bagno, e l'altro terzo ad un giovane, venditore di birra, che passava casualmente vicino a lui. Prese un bicchiere e lo vuotò rapidamente, gridando che tutto il frutto del suo lavoro gli era valso quanto un bicchiere di birra,gettando nel grembo del garzone che lo guardava stupito,i denari.

Mahmùd quando seppe dell'operato del ministro si sdegnò,ma poi si lasciò vincere dalle insidiose calunnie di lui, e il misero poeta,fu tacciato come settario e seguace dell'antica religione,fu condannato ad essere calpestato sotto i piedi di un elefante. Firdusi, udita la terribile sentenza, ritornò alla corte, e là, attendendo in un giardino il Sultano che di là appunto doveva passare, improvvisò alcuni versi in sua lode, al suo passaggio. Mahmùd,toccato nel cuore,lo perdonò; Firdusi, ben comprendendo che egli ormai non poteva più restare a corte, in quella notte stessa, dopo aver consegnata ad Ayàz, il favorito del principe, una lettera sigillata con l'incarico di consegnarla a Mahmaùd passati venti giorni, parti da Gahsna,senza portare nulla con sé.Lungo la via però lo raggiunse un corriere,mandato da Ayàz, che gli portava dei denari. Cosi il poeta proseguì il suo viaggio finchégiunse a Bagdad, alla corte del Califfo Al-Kàdir Billahi Abassi,allora regnante. Il Califfo ricevette con grandissimo onore il profugo poeta,il quale, anche per rassicurare il suo nuovo proiettore della sua fede di Maomettano, compose per lui un poemetto intorno alla storia di Yùssuf e di Zuleykhà, inspirandosi al racconto del Corano.

Ma la lettera suggellata che Firdusi aveva consegnata ad Ayàz, conteneva una terribile eviolenta invettiva contro di Mahmùd. Mahmùd. alla lettura di quei versi concitati,fu preso da furore e scrisse al Califfo di rimandargli il poeta fuggitivo. Il Califfo, dopo aver disarmata con un' arguta risposta l'ira del Sultano, s'accorse tuttavia che era pericoloso tenere presso di se Firdusi, come era non generoso l'abbandonarlo nelle mani del suo adirato Signore; e perciò gli consigliò la fuga. Firdusi allora, partì da Bagdad, soggiornò qualche tempo ad Ahvàz nell'Iràk-agemi,da lì passò poi nel Kohistàn presso Nàsir Lak, governatore della provincia. Nàsir Lak era un vecchio amico del poeta e fervido ammiratore del suo ingegno ;

Nasir, appena saputo del suo arrivo,comandò alla sua servitù di andargli incontro per riceverlo. Firdusi,fu quindi ospitato con grandissimo onore in casa di lui. Per sdebitarsi,cominciò a comporre un lavoro che consegnasse ai posteri la gloria del suo nuovo Mecenate e condannasse all'infamia quella di Mahmud. Ma Nàsir Lak lo dissuase,e,avuti nelle mani i versi che Firdusi già aveva composti,li distrusse,promettendo al poeta di scrivere una lettera al Sultano per rimproverargli la sua ingiustizia. Firdusi intanto, animato forse dalla speranza di un mutamento nell'animo di Mahmùd, ritornò a Tùs, alla sua città natia, e là visse qualche tempo ancora con una sua figlia, finché un giorno, per la piazza di Tùs, avendo udito un fanciullo che per caso cantava iversi della sua invettiva contro il Sultano:

 

...Se il padre suo regnato avesse,

una corona d'oro il figlio suo

posta mi avrebbe in fronte...

 

preso da improvviso dolore ripensandoalle sue sventure, cadde svenuto al suolo. Di là trasportato alla sua casa, vi morì poco dopo, mentre già toccava l'ottantesimo anno disua età, nel 1020 d.C. Venuto a conoscenza della sua morte,lo Sceicco Abù-i-Kàsim Gurgàni si rifiutò di recitare sulla sua bara le preghiere dei morti, perché Firdusi, benché saggio e sapiente,aveva cantati gli eroi dell'antica religione. Ma poi, come si racconta, avvertito nella notte da una visione, nella quale Firdusi gli era apparso in tutta la sua gloria,accompagnò il cadavere alla sepoltura e recitò sulla bara le preghiere dei defunti.

Ma,intanto,nell'animo di Mahmùd era entratoil pentimento, e già le lettere del Califfo di Bagdad e quelle di Nàsir Lak lo avevano profondamente colpito. Un giorno,nella moschea, dove egli era solito pregare,aveva trovati due distici scritti da Firdusi di propria mano prima di partire, cioè:

 

...L'inclita reggia di Mahmùd è un mare.

Qual mar! di cui non vedesi la sponda.

Se io mi tuffai, né perle ebbi a trovare,

Colpa fu del mio fato e non dell'onda...

 

Così a poco a poco entrava nell'animo del principe il sentimento della propria ingiustizia, finché un giorno, punito il perfido ministro, autore della disgrazia di Firdusi.,mandò a Tùs messaggeri riccamente vestiti e con magnifici doni, per invitare nuovamente alla corte lo sventurato poeta. Si dice che la sua bara usciva proprio allora dalle porte della città quando s'incontrò con i messaggeri di Mahmùd.

I doni del quale furono offerti alla figlia di Firdusi; ma essa rispose di non potere accettare ciò che era stato negato a suo padre. Allora, fu ripetuta l'offerta alla sorella del poeta che accettò l'offerta, destinando la donazione alla costruzione di pubblici edifici a Tùs, per onorare la memoria del fratello. Nàsir Khusrev, in un suo libro di viaggi, dice di averli veduti nel 1045.

Copyright 2011 La vita di Firdusi di Italo Pizzi. Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported.
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