I miti gli eroi e le leggende del passato
I riti dell'anno nuovo: un percorso attraverso la storia dei popoli
Anno nuovo! Auguri ! Festa! Regali. Sono queste le parole magiche che per buona parte del mese dell'anno che se ne va e dell'anno che inizia, ricorrono con maggior frequenza. Queste parole sono evocatrici di auguri, di regali, di grandi feste in famiglia e con gli amici, dei pentimenti e dei buoni propositi di emendamenti. L'allegria si beve dalla coppa dorata della vita e in ogni posto c'è qualcuno felice di aver aggiunto un anno di più al diario della propria esistenza. I secoli e le tradizioni ci hanno tramandato l'usanza di celebrare l'inizio del nuovo anno, consolidando quell'invisibile laccio di fratellanza che unisce tutti gli uomini, legame destinato a perpetuarsi nei secoli, superstite di metamorfosi e di grandi rivoluzioni sociali e culturali. La festa del nuovo anno, in ogni secolo, in ogni cultura e in ogni tradizione è la festa di tutta la gente.
Il suo luogo di origine sembra essere l'India, come altre feste, costumi e tradizioni che si sono infiltrate attraverso i secoli nel substrato culturale di altre popolazioni e civiltà, tra queste quella Europea. In India l'anno nuovo si celebrava con la festa del Varutchi Parapu ossia la festa dell'inizio dell'anno nuovo, festa che con grande solennità aveva luogo nel mese di Vaisaka. Durante queste festività si perdonavano le reciproche offese, si riallacciavano e si consolidavano le amicizie, ci si recava in visita, si facevano regali e ci si ossequiava gli uni con gli altri, indirizzandosi reciprocamente auguri di salute e di prosperità. Davanti alla casa del sovrano o del capo tribù si innalzava una grande piattaforma ricoperta con magnifici tappeti, dove si collocava il principe e tutti i suoi ministri mentre di lato collocati su una lussuosa tribuna prendevano posti i capi e i raja. Al segnale, i cortigiani e la gente del popolo, si avvicinavano con il massimo rispetto e prostrandosi ai piedi del sovrano, depositavano i loro doni, facendo auguri di felicità. Il Sovrano a sua volta distribuiva tra i suoi sudditi, incarichi onorificenze, impieghi,vestiti e gioielli. La cerimonia continuava per diciotto giorni in un carosello ininterrotto di auguri e ossequi. Tra le popolazioni Europee, le civiltà più antiche di cui conosciamo i loro riti e dei loro cerimoniali per festeggiare il nuovo anno, sono indubbiamente quella delle genti galliche e quella dei romani. Dei riti e delle cerimonie delle popolazioni galliche per celebrare l'anno nuovo, ne abbiamo già parlato nella “Storia delle origini della medicina Celtica” alla quale si rimanda. Per quanto si riferisce ai romani, questo popolo, che attraversò con le sue aquile trionfatrici le colonne di Ercole, fino ai piedi della leggendaria muraglia cinese e delle rifulgenti torri di porcellana della Via della seta, dal Campidoglio fino alla cima del Tempio del monte, la festa del nuovo anno sempre ripercorse le stesse tappe di quel popolo di guerrieri e legislatori, così magnifico nelle sue origini e tanto svilito e decadente nei suoi ultimi tempi dell'Impero. Il primo giorno dell'anno che per loro era il giorno delle Calende di Marzo, i romani si scambiavano i regali. Questi regali si chiamavano strenne. L'opinione più comune, riferisce che questa usanza iniziò al tempo di Tito Tazio, re dei Sabini, che divise il trono con Romolo quando i due popoli si unirono. C'era nei pressi di Roma un bosco consacrato alla dea Strenia, divinità della forza. In quel luogo si riunivano gli abitanti della città dei Sette Colli per raccogliere il primi rami verdi e novelli che offrivano in omaggio a Tazio come segno di rispetto e come felice augurio di un buon anno; in effetti la conservazione di quei rami o l'aprirsi di un primitivo germoglio era sicuramente auspicio della fecondità della terra e dell'abbondanza del raccolto. Quel semplice e umile omaggio erano le primizie raccolte dalla mano dell'uomo. Successivamente il dono del ramo verde si estese al condono in tutto o in parte dei debiti contratti, passando da un'usanza a un dovere religioso e fraterno, chiamando i doni offerti strenne, nome attribuito come atto di omaggio nei confronti della divinità tutelare dei boschi.
Per molto tempo questa usanza conservò i suoi caratteri primitivi e la sua eloquente semplicità: i sacrifici offerti a Strenia nel suo bosco e la distribuzione dei rami verdi di cui tornavano provvisti coloro che avevano preso parte alla cerimonia religiosa, costituirono la caratteristica festa dell'anno nuovo. Nella misura in cui il popolo romano cresceva in splendore e opulenza, le antiche offerte dei ramoscelli verdi si trasformarono in altri regali di maggior importanza, consistente in fichi, datteri, miele e altri frutti che si facevano recapitare in vassoi di argento o di oro o quando la persona che rendeva omaggio aveva minori possibilità economiche e non poteva esternare diversamente la sua munificienza, su una foglia d'oro, per augurare un anno colmo di dolcezze. Sotto l'Impero di Ottaviano Augusto il lusso e la raffinatezza dei costumi avevano trasformato i doni del nuovo anno in opere d'arte di gran valore. Da allora si introdusse la novità di omaggiare con magnifiche strenne l'Imperatore, come si faceva nell'India antica, come abbiamo già detto; il senato, i cavalieri e anche il popolo stesso, nel porgere all'Imperatore i propri omaggi il giorno dell'anno nuovo, elargivano secondo le possibilità delle somme in denaro, somme che venivano impiegate per innalzare are agli Dei o per adornare i templi e i palazzi con opere scultoree. Fu Caligola a trasformare questo costume in una forma di tributo obbligatorio, pubblicando un editto in cui era sancito l'obbligatorietà di presentare ogni inizio dell'anno i doni all'Imperatore nell'atrio del suo palazzo non disdegnando naturalmente di controllare personalmente le offerte. Questa odiosa imposizione fu abolita da Claudio, anche se gli Iimperatori successivi, continuarono a ricevere queste donazioni che si trasformarono a tutti gli effetti in una rendita cospicua. Con il passaggio dalla religione pagana al cristianesimo, il papa e i vescovi, combatterono questa usanza e si opposero al pagamento di questo tributo umiliante, giungendo a proibirlo agli Imperatori romani converti al cristianesimo. Rimase l'usanza di scambiarsi auguri felicitazioni e regali gli uni con gli altri e questa usanza con i limiti imposti dal consumismo è giunta fino ai nostri giorni.Tra gli antichi persiani l'anno nuovo era celebrato ugualmente con grandi fasti; c'erano feste e cerimonie e gli amici si scambiavano reciprocamente ossequi,felicitazioni e regali. Tra questi ultimi, spiccava tra tutti un regalo a forma di uovo dorato o dipinto, con il quale si commemorava simbolicamente la creazione. Infatti secondo i dogmi dello zoroastrismo e dello Zend Avesta, il mondo ebbe origine da un uovo che il Toro mitologico di Mitra ruppe con i suo zoccoli. Creatore dell'universo e personificazione del sole e della luce, che per questo motivo era chiamato dai persiani “l'occhio di Ormuz”, di Mitra, trinità emblematica della religione dei magi, che illumina, riscalda e feconda, e che infine dirige il cammino armonico degli astri al suono della lira celeste, ognuna delle sue corde vibranti è un raggio di sole. Dalla più remota antichità si conosceva tra quel popolo, che ha fatto giungere fino a noi il rumore delle sue conquiste, delle sue vittorie dei suoi fasti e splendori, la festa del Nauruz, ossia della luna nuova, che aveva luogo al principio di ogni anno e durava dieci giorni. La notte del quinto giorno si introduceva nel palazzo del re un giovane , che per tutta la notte rimaneva fermo in anticamera del sovrano. La mattina senza farsi annunciare si presentava nella camera del re. Il re al vederlo gli domandava chi fosse. ”Io sono, rispondeva Omobarek il benedetto, vengo da parte di Ormuz e porto l'anno nuovo”. Immediatamente entravano nella stanza gli alti dignitari di corte, recando in una coppa di argento semi e grano di diversa specie, un pane, dei pezzi di canna da zucchero e due pezzi di oro come offerta per il re. Questi prendeva un pane, ne mangiava un pezzo e divideva il resto tra i presenti, dicendo che quello era l'inizio di un nuovo giorno, di un nuovo mese e di un nuovo anno, tutti dovevano rinnovare reciprocamente i legami di amicizia e di affetto che univa gli uni con gli altri. Rivestitosi del mantello reale li benediceva e li congedava con ricche regalie. Lo scambio delle uova dorate e colorate hanno fatto parte per lungo tempo dei regali tradizionali dell'anno nuovo russo, derivando sicuramente dalla tradizione persiana che la cristianità fece sua nel periodo nel medioevo e che persiste ancora ai giorni nostri sebbene per noi lo scambio di uova è stato trasferito alla festività religiosa della Pasqua.
Anche l'antico popolo degli israeliti avevano la loro festa dell'Anno nuovo, per commemorare la creazione e per implorare la benedizione di Jeova e il perdono dei peccati. Durante il mese di Elul, che era l'ultimo dell'anno ebraico,il popolo si consegnava ad atti di penitenza e di devozione per espiare le colpe commesse durante l'anno. Il primo giorno dell'anno nuovo si annunciava pubblicamente al suono dello shofar, una trombetta ricavata dal corno di bue, tromba che suonava durante la preghiera del mattino per questo la cerimonia di benvenuto al nuovo anno era conosciuta come “la festa delle trombette” cessava ogni sorta di lavoro e si offriva a Sabaoth in olocausto un bue, due vitelli e sette agnelli oltre che del pane azzimo e del vino. I festeggiamenti duravano dieci giorni e terminavano con il giorno del perdono. Dopo la grande diaspora, le celebrazioni dell'anno nuovo assunsero un carattere religioso e questa grande solennità fu chiamata Rosch-Hatchana con cadenza nel mese di Tisri,chiamato anche nella bibbia Ethanim, la cui parola significa dragone, corrisponde al periodo del dragone dell'equinozio d'autunno. Dalla radice araba “darsh” che significa pigiare, estrarre il succo, derivò tirosh che significa mosto o vino nuovo che in questo mese si cominciava a bere proprio nelle immediatezze dell'equinozio d'autunno. Le cerimonie iniziavano il pomeriggio con la lettura delle Sacre Leggi e con l'intonazione dei cantici di lodi. La mattina seguente si rinnovavano le cerimonie e alla loro conclusione, i fedeli si salutavano gli uni con gli altri dicendosi: “Che tu possa essere iscritto nel Libro”
Questa forma augurale era fondata sulla credenza che professavano gli ebrei che il primo giorno dell'anno l'Altissimo giudica gli uomini in conformità alle buone o cattive azioni, scrivendo il destino nel grande libro che è sempre aperto vicino al suo trono. Tutti si ossequiavano reciprocamente con preghiere recitate ad alta voce e per le quali bisognava convenire un prezzo tra ossequiato ed ossequiante, destinando i fondi raccolti in questo strano modo alle elemosine per i poveri. Durante i dieci giorni successivi al primo giorno dell'anno facevano penitenza e pregavano, confessando al Signore le proprie colpe ed elargendo abbondanti elemosine. Questa decade di penitenza, di introspezione, di bilanci,terminava con la cerimonia del perdono, il Kippur, al termine della quale il Gran Rabbino della sinagoga dava la benedizione di Mosè al popolo semita. E' questa una tradizione che è rimasta ancora ai giorni nostri, un filo di continuità per questo popolo disperso in ogni parte del mondo.
Gli antichi messicani terminavano l'anno con i cinque giorni complementari o addizionali ai diciotto mesi di venti giorni in cui dividevano l'anno solare. Questi cinque giorni erano chiamati i cinque giorni Nemontemi, durante i quali cessava ogni attività. I bambini nati in quei giorni, se maschi erano chiamati Nemoquichtli,uomo inutile, se femmina Nemihuatl, donna inutile. Questi giorni erano consacrati ai festeggiamenti pubblici e privati: durante i quali cessava si interrompeva ogni forma di lavoro, si chiudevano i negozi, venivano interrotti i giudizi in tribunale, persino i sacerdoti lasciavano i templi e i luoghi di culto per prendere parte all'allegria e ai festeggiamenti generali. Il primo giorno dell'anno era dedicato alle visite, ai regali e alle felicitazioni, l'allegria permeava ogni parte dell'abitato, tra musica e danze si allontanavano in anticipo le disgrazie, i dolori e le amarezze che durante il corso dell'anno entrante avrebbero potuto essere inviati dagli spiriti cattivi. Per le popolazioni asiatiche, la festa dell'anno nuovo aveva tradizioni antichissime.
I cinesi la designavano con il nome della “ festa della chiusura dei sigilli” perché il primo giorno dell'anno in tutti i tribunali si chiudevano le casse contenenti i sigilli imperiali Nello stesso momento in cui aveva luogo la cerimonia, cessavano tutte le attività, i mandarini e tutti i dignitari e funzionari dello Stato lasciavano le loro funzioni. La festa iniziava la sera prima ossia l'ultimo giorno dell'anno che stava per terminare, allo spuntare della luna, i sacerdoti con squilli di tromba e rullare di tamburi usati solo per questa occasione, davano il segnale a cui il popolo rispondeva con fuochi d'artificio, grida e altre manifestazioni di giubilo. Il giorno seguente, quello dell'inizio dell'anno nuovo tutti rimanevano a casa. Il secondo giorno però nella corte imperiale aveva luogo un grande ricevimento. Il popolo allora si riuniva nelle strade e in ogni canto si incrociavano grandi processioni accompagnate dai sacerdoti e si portavano a sfilare le effigi delle divinità, mentre i sacerdoti intonavano cantici e bruciavano incensi, queste processioni continuavano per tre giorni. Trascorsi quindici giorni dall'inizio dell'anno si celebrava la “festa delle lanterne”, così chiamata per il numero infinito di lanterne con le quali si illuminavano le case, le strade e le piazze delle città, festa che veniva festeggiata anch'essa con grande fasto, degna appendice ai festeggiamenti del nuovo anno e che con essa avevano fine. A Tonchino (Tongking cinese , Bac-Pan per il popolo Vietnamita è la parte del Sud-Est asiatico, parte settentrionale del Vietnam), la popolazione iniziava le solennità dell'anno riconciliandosi con i nemici e perdonando le ingiurie e il male ricevuto. Gli abitanti per l'occasione usavano allestire davanti casa una sorta di parapetto adornato con carta colorata e ogni sorta di orpelli, in modo da spaventare gli spiriti i quali per tutto l'anno si sarebbero tenuti lontani dalla casa. Sempre all'inizio dell'anno avevano luogo le cerimonie di commemorazione dei morti i quali durante la loro vita si erano resi protagonisti di grandi e gloriosi avvenimenti; per loro si innalzavano stele dove veniva scritto il nome illustre, si costruivano altari per fare sacrifici in loro memoria, si portavano trofei.
A queste solennità assistevano i mandarini con i propri dignitari accompagnati dalle truppe: si facevano sacrifici espiatori, si bruciava incenso e profumi in onore degli illustri estinti e si elevavano preghiere in loro memoria. Concluso questo cerimoniale, venivano lanciate in aria cinque frecce contro coloro i quali nella vita avevano arrecato turbative nello Stato. Una scarica di artiglieria serviva per prendere concedo dal defunto a cui erano stati tributati gli onori militari, si dava fuoco agli altari, ai trofei e ai decori e ci si ritirava nelle proprie abitazioni dove si rimaneva in raccoglimento per tutto il giorno seguente, evitando gesti e parole apportatrici di cattiva sorte. Il giorno successivo si andava in visita, si scambiavano auguri e felicitazioni. Nel Tibet pre-buddhistico, al tempo dei Bo, la cerimonia dell'inizio di anno chiamata Losar. Era una grande cerimonia in cui veniva esaltato l'aspetto spirituale, offrendo grandi doni agli spiriti e alle divinità tutelari a scopo propiziatorio, bruciando incensi e profumi e offrendo una bibita alcoolica ricavata dalla fermentazione dell'orzo, (una specie di birra dei primordi). Con la propagazione del buddhismo in Tibet, la festività acquistò un carattere di solennità religiosa e tale è rimasta fino ai nostri giorni. La tradizione vuole che questa festività sia stata voluta dal re Pude Gungdyal, quando il computo del tempo si basò sul conteggio delle fasi della luna e con molta probabilità si fuse con la celebrazione del rito della festa dell'agricoltura. Attualmente questa festa a carattere religioso è ancora una delle feste più importanti del popolo tibetano e viene celebrato con riti religiosi presso tutti i monasteri del Tibet.
Presso alcune tribù semiselvagge della Siberia si celebrava la festa dell'anno nuovo con cerimonie per ottenere dagli Dei un anno di prosperità e abbondanza. La solennità inizia al al sorgere del sole. Un sacerdote si inginocchiava a terra di fronte al sole e ad alta voce chiamava gli Dei; altri due avanzano verso l'astro del giorno,portando ciascuno una tazza di legno, una contenente del latte, l'altra il kumis ( una specie di acquardente ottenuta dalla fermentazione di latte di giumenta).Lanciavano in aria il contenuto mentre il sacerdote inginocchiato recitava una preghiera. La cerimonia si concludeva con il sacrificio di un vitello, i cui resti venivano distribuiti tra i sacerdoti e i loro assistenti, dedicando il resto della festività, in danze, cantici e auguri di prosperità, tracce di questa antica tradizione si ritrovano ancora nella festa dello Tsagaan Sar la tradizionale festa di inizio anno degli abitanti della Mongolia. Fino ai primi secoli della nostra era, il popolo dei franchi aveva un modo piuttosto originale per celebrare l'inizio dell'anno nuovo. Si travestivano con pelli di vacca, di cervo o di altro animale, astenendosi da dare acqua, fuoco o altro genere di prima necessità ai vicini, agli amici o ai debitori. In cambio ciascuno poneva davanti all'uscio di casa una tavola imbandita con ogni sorta di appetitose vivande, come affinché tutti coloro che passavano di lì potessero servirsene a proprio piacimento. Tanta generosità era compensata dal fatto che sopra quei cibi erano stati fatti precedentemente ogni sorta di scongiuri per trasmettere all'incauto ospite tutto il male che avrebbe potuto minacciare durante l'anno il la casa di questi “generosi” anfitrioni. A questa sgradevole tradizione dovette porre fine la Chiesa cattolica che a fatica e sotto la minaccia di censure e scomuniche riuscì a sradicare definitivamente questo malcostume. Tradizioni abbastanza simili erano di moda nel Medio Evo in tutta Europa, a Capodanno si celebrava la festa dei pazzi. Allo scoccare della mezzanotte, la gente travestita nelle fogge più strane e terrificanti si portava nelle strade, e lanciando grida e cadendo in ogni sorta di eccessi, scongiuravano la mala sorte sempre pronta a colpire nell'anno nuovo. Di nuovo l'intervento della Chiesa riuscì a sradicare anche questa usanza. Al tempo dei fasti e splendori delle cori europee i festeggiamenti e avevano rivestito un'eccezionale carattere di splendore quali non si erano più visti dai tempi della Roma imperiale. Lo scambio di doni avveniva con un tale sfoggio di prodigalità che colpiva ogni ceto sociale da sperperare in regali veri e propri patrimoni. E' rimasto celebre un aneddoto riguardante il cardinale Dubois; ogni inizio d'anno chiamava il suo maggiordomo e con un sorriso ironico gli diceva: Mio caro amico, come regalo ti dono tutto quello che mi hai rubato nell'anno appena trascorso.