I miti gli eroi e le leggende del passato

L'Olivo: tra storia e mitologia

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Scritto da Alba

Ulivo

 

L'Olivo è una pianta coltivata dall'uomo fin dai tempi più remoti, variamente eletto nelle antiche tradizioni a simbolo di pace, di saggezza, di sapienza, di gloria e di prosperità, era talmente tanta l'utilità che gli uomini traevano dall'Olivo (Olea Europea) da considerarlo un dono degli Dei. L'interpretazione del pensiero comune è concorde ad affermare che le origini di questa pianta, intendendo l'olivo domestico, siano state la vasta zona che si estende dal Caucaso fino alle pendici dei monti Elburz in Iran, per raggiungere le Cicladi e l'Arabia Meridionale. Conosciuta già da tempi antichissimi, la sua coltivazione si estese ad Est del bacino Mediterraneo già nel 1800 a.C.

Notizie di questa pianta le ritroviamo, assieme a quelle dei pistacchi e delle mandorle in alcune citazioni della Genesi. Altre popolazioni pur conducendo un genere di vita seminomade e quindi poco adatta ad una forma di agricoltura che richiedeva lunghi periodi di cura delle piante, conoscevano l'olio, il che lascia presumere che fosse frutto di scambi commerciali con l'Egitto e la Mesopotamia. Le numerose leggende fiorite attorno a questa pianta ne attribuiscono l'introduzione a Cecrope, fondatore e primo re di Atene. Mezzo uomo e mezzo serpente, fu secondo i mitologi, uno dei più celebri re dell'antichità. Nacque a Sais, una città dell'Egitto circa 18 sec. prima di Augusto. Secondo Censorino e Dionigi di Alicarnasso, alla testa di una colonia di Egizi, si mosse verso la Grecia, dove riuscì a fare delle selvagge e incolte popolazioni locali un popolo; diede loro delle leggi, fondando dodici borghi che costituirono il nucleo centrale del regno dell'Attica. Introdusse il culto delle divinità onorate a Sais e consacrò la città ad Atena, divinità già adorata nella sua città di origine, mettendola sotto la sua protezione. Giudicando il suolo dell'Attica particolarmente adatto alla coltivazione della pianta dell'Olivo, consacrò questo albero ad Atena per renderlo ancora più prezioso per il popolo. Per Diodoro, lo scopritore della pianta dell'Olivo fu invece Mercurio, il primo ad insegnare agli uomini l'arte della sua coltivazione e della spremitura per ottenere l'olio dai suoi frutti. Sprenghel, nel 1° Libro della Storia della Medicina, racconta che che fu Ercole a trasportare dal paese degli Iperborei l'Olivo silvestre in Grecia, e forse in ragione di questa credenza che nei giochi Attici si incoronava il vincitore con un ramo di Olivo. Questa pianta era tenuta in così grande considerazione, da punire con pene severissime chiunque l'avesse rubata o danneggiata in qualche maniera. Quando Sparta mosse guerra ad Atene, nella devastazione che seguì, gli Spartani, risparmiarono gli alberi d'olivo per il sacro rispetto che nutrivano nei confronti di questa pianta. Aristeo, figlio di Apollo e di Cirene, fu, alla sua morte eletto tra gli Dei, e il suo culto si estese tra i pastori, grati per aver insegnato loro l'arte delll'apicoltura, quella di fare il formaggio e la coltivazione degli ulivi.

Epimenide chiamato dagli Ateniesi ad assistere Solone nella compilazione della legislazione, rifiutò ogni onorificenza terminato il lavoro, chiedendo per sé solo un ramo di Olivo del tempio di Atena. Nelle feste e nei giochi in onore di Atena, il vincitore veniva incoronato con una ghirlanda di Olivo, lo stesso premio che veniva attribuito a Roma ai poeti e letterati durante la solennità della festa Quinquatrus in onore di Minerva (l'Atena romana). La ghirlanda d'Olivo era per gli ateniesi la loro Corona patria e come tale fu portata da Aiace e Achille come ricompensa delle loro vittorie contro i nemici. Anche la Nike dei Greci e la Vittoria dei Latini erano adornate con queste corone. I significati simbolici attribuiti all'Oivo sono veramente tanti, è considerato principalmente il simbolo della pace e delle risoluzioni pacifiche. La Pace, Irene, era rappresentata come una donna con un ramo di olivo nella mano destra, la cornucopia a sinistra, e una ghirlanda di olivo sul capo. L'invio di un ramoscello di olivo al nemico in guerra, era da intendersi come una offerta di pace. Nell'assedio di Sidone, 500 uomini illustri, si recarono da Artaserse per implorare la pace e chiedere di risparmiare i cittadini. Quando Cartagine fu sconfitta, vennero inviati al campo di Scipione una delegazione di dieci nobili accompagnati da un messo ornato con ramoscelli di olivo per chiedere la pace. Nell'Odissea, Penelope, all'indomani del ritorno di Ulisse, per fugare i dubbi sulla sua identità gli chiede di rivelargli il mistero del talamo nuziale, costruito sopra un bellissimo ulivo e noto solo a loro due e allo schiavo Actori; Ulisse così parlò:

 

..."Donna, parola
T'usci da' labbri fieramente amara.
Chi altrove il letto collocommi? Dura
Al più saputo tornerìa l'impresa.
Solo un nume potrebbe agevolmente
Scollocarlo: ma vivo uomo nessuno,
Benché degli anni in sul fiorir, di loco
Mutar potrìa senza i maggiori sforzi

Letto così ingegnoso, ond'io già fui,
Né compagni ebbi all'opra, il dotto fabbro.
Bella d'olivo rigogliosa pianta
Sorgea nel mio cortile, i rami larga,
E grossa molto, di colonna in guisa,
Io di commesse pietre ad essa intorno
Mi architettai la maritale stanza,
E d'un bel tetto la coversi, e salde
Porte v'imposi e fermamente attate.
Poi, vedovata del suo crin l'oliva,
Alquanto su dalla radice il tronco
Ne tagliai netto, e con le pialle sopra
Vi andai leggiadramente, v'adoprai
La infallibile squadra e il succhio acuto.
Così il sostegno mi fec'io del letto;
E il letto a molta cura io ripolìi,
L'intarsïai d'oro, d'avorio e argento
Con arte varia, e di taurine pelli,
Tinte in lucida porpora, il ricinsi.
Se a me riman, qual fabbricailo, intatto,
O alcun, succiso dell'olivo il fondo,
Portollo in altra parte, io, donna, ignoro"
....

Odissea cap.XXIII     leggi tutto  l'articolo

 


 


Omero, nell'Iliade, paragona Euforbo morente a causa dei colpi di Menelao ad un bellissimo ulivo. Questa descrizione di Euforbo morente, piacque a tal punto a Pitagora, da tradurla in versi che cantava accompagnandosi col suono dell'arpa. Euripide nella sua tragedia intitolata “Ione,” parla dell'incontro di Creusa con suo figlio Ione che non ha mai conosciuto. Costui, riceve dalle mani della Pizia il cesto in cui fu esposto da neonato. Egli vuole farne offerta ad Apollo: Creusa che assiste alla scena, riconosce in Ione il figlioletto che aveva abbandonato, ma non è creduta. Allora elenca tutti gli oggetti che vi erano contenuti, una collana, dei veli finemente ricamati ed un ramo d'olivo staccato dall'albero, che germogliò sullo scoglio sacro a Minerva Questo ramo era perennemente verde, perchè apparteneva ad un ulivo immortale.

 

...Creúsa:

   Oh, qual vista inattesa a me si scopre!
Iòne:
Taci: di troppo anche già pria mi fosti.
Creúsa:
Non consente il tacer ciò che m'avviene!
Non consigliarmi: ché il cestello io scorgo,
dove io te, figlio mio, deposi, pargolo
senza parola, ne le Rupi lunghe
e nell'antro di Pane. E questo altare,
anche morir dovessi, or lascerò.
(Abbandona l'ara, e si precipita verso Iòne,
per esaminare il cestello)
Iòne:
Afferrate costei: balzò, dal Nume
resa delira, dall'altar, l'effigie
sacre lasciò. Le braccia sue legate.
Creúsa:
Tener non mi potrete, anche uccidendomi,
che a questo cesto io non m'afferri, e a quello
che c'è dentro nascosto, e, figlio, a te.
(Si afferra al figlio, e lo tiene stretto: sicché
le guardie non possono afferrarla né colpirla)
Iòne:
Ora io debbo suo schermo essere: è strano.
Creúsa:
No, ché diletto ai tuoi diletti appari.
Iòne:
Ti son diletto? E mi volevi uccidere?
Creúsa:
Se pur diletto ai genitori è un figlio!
Iòne:
Lascia le trame: io ben saprò scoprirti.
Creúsa:
Deh, fosse! È questo ciò ch'io bramo, o figlio!
Iòne:
Vuoto è il cestello, o qualche cosa v'è?
Creúsa:
Le tue vesti ci sono, in cui t'esposi.
Iòne:
Puoi dire quali, pria che tu le vegga?
Creúsa:
E se dir non lo so, voglio la morte.
Iòne:
Parla: ché strano è questo ardire tuo.
Creúsa:
Vedi un ricamo ch'io fanciulla feci.
Iòne:
Com'è? Ricami assai fanno le vergini.
Creúsa:
Non perfetto: qual può chi all'arte è novo.
Iòne:
Quale figura c'è? Qui non m'inganni.
Creúsa:
Proprio in mezzo all'ordito c'è la Gòrgone.
Iòne:
O Giove! Qual destino ora m'incalza?
Creúsa:
Orlato è di serpenti, a guisa d'ègida.
Iòne:
Ecco il peplo ch'io trovo, ecco le fasce.
Creúsa:
Dei miei telari o antica opra virginea!
Iòne:
C'è altro? Oppure questo sol sai dirmi?
Creúsa:
Due draghi: e tutte d'or brillan le fauci.
Iòne:
Dono d'Atèna, da fregiarne i pargoli?
Creúsa:
Certo, ad esempio d'Erittònio antico.
Iòne:
E l'aureo fregio, a che, dimmi, a quale uso?
Creúsa:
Per portarlo, o mio figlio, al collo il pargolo.
Iòne:
Ecco i dragoni. Un terzo segno or dimmi.
Creúsa:
Ti cinsi attorno un serto dell'ulivo
che dalla rupe germogliò d'Atène:
se ancora c'è, non ha perduto il verde,
ché divina è la pianta ond'esso crebbe.
Iòne:
Madre sopra ogni cosa a me diletta,
t'ho pur veduta! E lieto sono adesso,
e tu lieta! Alle tue guance mi stringo.
Creúsa:
O figlio, o luce per tua madre fulgida
piú del Sole - perdono il Dio m'accordi -
fra le braccia ti stringo, allor che piú
non speravo trovarti, e con Persèfone
già ti credevo, fra la morta gente.
Iòne:
Fra le tue braccia, o madre a me diletta,
ecco, già morto, e non piú morto appaio.
Creúsa:
O gioia! O lucidi grembi dell'ètere,
qual voce emettere
dovrò, qual grido? Donde inatteso
ci giunse il bene?
Questa allegrezza, donde proviene?
Iòne:
Tutto in mente potea, madre, venirmi,
e non già questo, che tuo figlio io fossi...
Ione - Euripide

Erodoto ci racconta un'altra bellissima storia: due giovani vergini, Dania ed Augeria, native di Epidauro vennero oltraggiate e sopraffatte dalla vergogna si impiccarono; dopo poco tempo le terre degli Epidauri furono invase dalla sterilità; l'oracolo consultato impose di innalzare a Dania e Augeria delle statue scolpite dai tronchi di ulivo domestico. Nelle terre di Epidauro questa pianta era sconosciuta, allora chiesero agli ateniesi il permesso per potersene procurare. Costoro acconsentirono, ma ad una condizione: il popolo di Epidauro ogni anno avrebbe dovuto inviare una delegazione di suoi cittadini ad Atene per fare solenni sacrifici alla Dea Atena. L'immagine del riposo e della pace eterna era rappresentata dalla cristianità con una colomba che porta un ramo d'Olivo nel becco, simbolo anche di rinascita a nuova vita e speranza di resurrezione, ma anche di rinascita spirituale. Non a caso Noè inviò la colomba con l'Olivo ad annunciare la fine del diluvio. Licurgo, volle abolire ogni fasto alle cerimonie funebri, stabilendo di adagiare i cadaveri sopra foglie di olivo e di alloro, questo per alludere alle vittoria riportata dal defunto sulle miserie della vita. L'Olivo era simbolo della Misericordia, della Clemenza, della Equità, della Pietà, della Felicità, della Luce. La Misericordia infatti era una donna vestita di bianco, rappresentata nell'atto di porgere pane ai poveri e con una ghirlanda di olivo sul capo. La Clemenza e l'Equità sono rappresentate nelle monete come donne con rami d'olivo tra le mani. Anche la Pietà, rappresentata come una donna velata, aveva in mano un ramoscello di olivo. Felicità era una figura femminile seduta su una cornucopia e con rami d'olivo tra le mani. L'olivo simbolo di luce, perché la luce è l'essenza di Minerva, chiarezza dell'intelletto, o forse perché l'olio ottenuto dai suoi frutti serviva per illuminare la notte. Durante le grandi epidemie, era consuetudine portare con se ramoscelli d'ulivo per proteggersi dal contagio. I censori romani erano rappresentati con un piccolo vaso di acqua benedetta in una mano e un ramoscello di ulivo nell'altra. Al termine dei cinque anni del mandato, era usanza benedire il popolo, aspergendo acqua benedetta con un ramoscello d'ulivo, in segno di perdono verso il popolo che avrebbe vessato durante il periodo del censo.

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